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– Perché ci credi? + Qual è la tua stagione preferita? – Che c’entra adesso, scusa. + Dai… – Ok. L’estate. + Bene, seguimi. Sei sul lungomare e sono le dieci del mattino. Ti guardi intorno: c’è un signore piuttosto anziano sulla panchina, ha accanto una palma a fare poca ombra, legge la gazzetta che titola di incredibili mercati, possibilmente nerazzurri e la brezza, che è solo un refolino, gli fa volare via il cappello leggero, sicuramente se l’era messo male. E allora un bambino, in bicicletta con accanto il padre, frena forte e non usa il cavalletto -gran fracasso ma il padre tace e quasi sorride perché sa- fa pochi passi decisi verso il cappello, lo raccoglie, lo gira un momento nelle mani (si sta chiedendo quale sia il davanti e quale il dietro, lo capirà tra dodici anni) e lo porta al vecchio che non ha smesso di guardarlo, di guardare la sua maglietta gialla. Il piccolo si volta e chiede un gelato al padre, sono solo le dieci del mattino e già sgrana il suo rosario dei gelati, andrà avanti per un pezzo. Nel frattempo in spiaggia una ragazzina aspetta accanto ai genitori che arrivino i suoi amici del mare, ragazzini che conosce da tre giorni e già sono compagni, legati per sempre nel sole, ci siamo legati tutti e ancora, se si è fortunati, ci si lega così. Dal ristorante sulla spiaggia già si spande il reggaeton, fai una smorfia ma il tuo piede si muove, fai una smorfia ma avresti voglia di ballare, fai una smorfia e ti senti scemo a smorfiare. Una Vespa rossa suona il clacson, lo suona tanto per suonare, una nota per farsi sentire, il vecchio lascia piegarsi il giornale e si volta a scrutare, aspetta il nipote, la figlia, il commilitone che quella volta a Menton gli passò una borraccia mentre tornavano su piedi buoni solo per disertare. Passano ora due ragazze con gli occhi nel sonno, sono state a ballare e hanno mani e denti felici, ricordi anche tu la notte passata, lei ancora non ti ha scritto (lo farà nel giro di un’ora, le sei piaciuto, poco da fare). Apre un negozio di teli da mare, colori da gamberetti a colorare, passa una nuvola e ti siedi, colpito, a guardare mentre lo zucchero dei bomboloni già ti afferra per le narici e sai già come diavolo andrà a finire, ti guardi la pancia, la maglia ha pietà. Estrai il cellulare, fai una ridicola foto al mare, di quelle fatte e rifatte e abusate, ma sei felice dell’estate. – Eh. + Solo per dirti che non sei felice dell’estate. Sei felice perché è estate per tutti. Sei felice perché non sei solo al mare.